giovedì 29 settembre 2011

Al varco (parte 2)

Ad inizio luglio, Aspirante Carrie Bradshaw aveva tentato la sua sorte accademica preparando l'esame più temibile in vista dell'ambita Laurea, l'odiato cinese3.
Se cinese1 era volato portando con sè un inaspettato 27 e cinese2 mi aveva fatto sfiorare la bocciatura con un orale che mi aveva fatto guadagnare il primo 20, per cinese3, tentato a luglio con una preparazione di 4 giorni, avrei dovuto sudare parecchio. E questo per svariati motivi: volevo laurearmi a novembre, perfettamente in linea con i tempi accademici, ero da poco entrato in Unicatt nel corso di organizzazione di eventi pagando sull'unghia 1300 euro per mantenere il mio posto (guadagnato dopo una graduatoria stilata in base alla media accademica), mi dilettavo a scrivere una tesi che faceva buchi da tutte le parti (cosa che alla mia relatrice sembrava importare poco) e per tutto questo avevo lasciato il mio lavoro nel Maxi Discount di Scarpe in modo da poter studiare con più calma e qualche spicciolo in meno.
A domenica sera, l'unico inghippo che avevo sulla strada per realizzare i miei piani di gloria era solo cinese3 (ma va?), l'unico in grado di poter mandare a monte quello che stavo facendo da mesi e che mi avrebbe portato, se non superato, a trascorrere un anno in completa nullafacenza, visto che avrei dovuto dire "addio" alla preiscrizione in UniCatt ad ai 1300 già versati. E non rimborsabili.
Con tutte queste promesse e previsioni appese ad un filo (l'esame) si può capire perchè dunque l'abbia affrontato con un nodo alla gola. Venerdì, sabato e domenica, ho vissuto a casa di Clementia, piegato sui libri e con la colazione al Mc Donald's come unico momento di svago.
Vissi con ansia per tre lunghi giorni e mercoledì mattina, trovai la madrelingua cinese con la mia professoressa, in attesa della mia performance finale, quella decisiva, che mi avrebbe finalmente fatto capire se potevo consegnare la tesi, se potevo entrare in UniCatt, se non perdevo 1300 euro, se avrei avuto qualcosa da fare di concreto per l'anno successivo.
La mia figuraccia asiatica terminò alle 13 e 32, con un'ora e mezza di sonno alle spalle e decine di ore di ansie e preoccupazioni con Clementia, quando il mio ultimo esame venne registrato sul libretto. Avevo ufficialmente finito.
Il che significava niente più caratteri inutili, un futuro roseo, una laurea a novembre, un nuovo inizio in UniCatt ma soprattutto che ero stato ripagato di tutti gli sforzi fatti in tutto un anno per poter riuscire a raggiungere i miei obiettivi.
Ce l'avevo fatta. Ora iniziava davvero una nuova carriera da organizzatore di eventi cattolico.

martedì 20 settembre 2011

The gift

Venerdì sera. Da esattamente un mese mi vedevo con Marco. Bisognava festeggiare. E tornare in provincia.
Era bastato così poco tempo per far sì che una persona mi invogliasse a lasciare Milano per un weekend ed immergermi tra la natura provinciale, e Marco ci era riuscito.
Non sapevo spiegarmi cosa ci spingesse l'uno verso l'altro ma, nonostante le persone che io incontravo ed un trombamico da cui non sembrava essere intenzionato staccarsi, alla fine ci ritrovavamo ancora noi due, nel suo ufficio, fino alle 4 del mattino. Potevo vantare una serie di vittorie: eravamo riusciti a passare dal divano dell'ufficio all'intero ufficio che ormai era diventato il nostro nido. Già al terzo incontro eravamo riusciti a rimanere vestiti, di fronte al suo pc, dove lui intendeva mostrarmi alcune fotografie di casa sua, del suo cane, delle sue Ferrari, dei suoi amici, la musica che ascoltava, e cosa amava fare... Dal canto suo anche lui poteva vantase una vincita: era riuscito dal terzo incontro a convincermi a guardare la televisione assieme dove tra un "amore" da lui pronunciato ed un bacio tra uno sguardo e l'altro, sembravamo essere felici. Niente poteva turbarci.
Sapevo benissimo che, per quanto lui avesse avuto relazioni anche con i maschi, in fondo io non sarei mai stato il ragazzo da portare in giro tra i monti e i ristoranti che lui frequentava. Ma non importava, quando eravamo lì, chiusi in quelle 4 mura, io e lui stavamo bene, e tutto spariva. Milano usciva dalla mente e l'esame di cinese sembrava una passeggiata. Finalmente sembravo aver trovato la formula che mi consentiva di vivere una relazione senza ansie e dubbi: evitare di sentirsi tutti i giorni. Niente sms da ricevere, niente risposte da comporre, niente attese, solo noi due, che ci incontravamo, e vivevamo qualcosa che ancora sembrava lontano da poter avere un nome.
Venerdì sera però successe l'inaspettato. Alle 3 eravamo rimasti nel parcheggio dove in genere lasciavo la mia macchina e mi ero trattenuto sulla sua Audi per discutere sul suo carattere a mio parere troppo concentrato sulle persone che lo circondavano. E lì, mentre eravamo a pochi centimentri l'uno dall'altro, fissando le fotografie sull'Iphone, i suoi amici lo videro. E ci raggiunsero.
D'accordo, volevo sparire. Questo era un ottimo modo per far sì che tutto quanto sparisse, che il suo timore degli sguardi altrui gli impedisse di continuare a fare quello che stavamo facendo: stare semplicemente bene. E invece, dopo quell'incontro ed il breve scambio di convenevoli, una volta rimasti soli, mi baciò come mai aveva fatto prima. Un bacio lungo, passionale, interminabile. Un bacio che diceva che di quello che era appena successo non gli importava nulla. Un bacio che significava che avevamo valicato il confine dell'ufficio, e forse anche di qualcos'altro. Mi abbracciò ed iniziò a bisbigliarmi all'orecchio quanto fosse contento di avermi conosciuto, oltre che mi voleva bene.
Iniziò una lunga conversazione, ci sedemmo su un marciapiede a discutere di lui e di come, a detta sua, fossi stato in grado di capirlo più delle persone che lo circondavano. Avevo freddo, mi abbracciò, mi baciò. Un altro bacio, e poi un altro ancora. Ormai qualcosa sembrava essere cambiato.
Alle 4 e 30 decidemmo che forse era giunta l'ora di salutarci e tornammo a casa. Nessuno scrisse alcun sms all'altro fortunatamente. Tornare a Milano la domenica sera era già sufficientemente dura, un sms da parte sua sarebbe stato come sentirsi in difficoltà.
Lunedì tornai nella mia routine milanese, contento del fatto che avevo imparato a vivermi un rapporto serenamente. Non sapevamo ancora cosa eravamo, di certo stavamo dando ognuno il meglio all'altro. Seguii il consiglio di Marion: "consideralo un regalo, vivilo come qualcosa in più".
Martedì sera, Marco mi scrisse un messaggio in cui mi ringraziava e diceva di sentirsi ispirato da me. Qualcosa era cambiato: il mio regalo stava iniziando ad uscire dal pacchetto ed io non potevo fare più nulla per cercare di impedire che uscisse.

mercoledì 14 settembre 2011

Yes, weekend (?)

Anche per Aspirante Carrie Bradshaw è arrivato il primo weekend a Milano. Se vi aspettavate party esclusivi, fiumi di champagne e star sistem allora vi sbagliavate di grosso perchè, il primo fine settimana nella metropoli si è rivelato un emerito disastro.
Venerdi sera. Xander, Vanish e le amiche lesbiche mi invitano alla serata lesbica delle Saini. Partono per mezzanotte e, siccome ho casa libera, decido di approfittare dell'occasione per invitare un bel ragazzo che da tempo voleva passare a farmi visita. Ho però i minuti contati e, siccome lo tengo per le palle, decido di fargli concludere il tutto ad un'ora che mi consentisse di prepararmi al meglio per il mio debutto in suolo metropolitano. A mezzanotte esco di casa, Xander e Vanish non sono ancora partiti, ma io decido di provare comunque l'ebbrezza di un viaggio in discoteca con i mezzi pubblici così, senza nemmeno consultare gli orari. Va così a finire che mi ritrovo in Piazzale Susa senza un distributore di sigarette disponibile, una linea 38 che terminava le corse a mezzanotte e mezza, poca gente in giro, la periferia deserta. Attendo circa un'ora, sperando che i miei amici non siano così maledettamente in ritardo, poi mi rendo conto che ormai sono talmente sudato e stanco che è decisamente meglio rimanere a casa.
Poco importa, mi dico, mi rifarò.
Domenica sera non posso mancare al classico Borgo dove una cara vecchia conoscenza, ormai fidanzata, si sarebbe fatta viva. Un motivo in più per non assentarsi. Tento di nuovo la sorte con i mezzi pubblici ben consapevole che sì, Carrie Bradshaw non si sarebbe mai presentata ad un evento in tal modo ma che agli inizi anche lei non si poteva permettere un taxi. Nonostante un piccolo problema sulla linea rossa approdo in piena periferia (Porto di Mare) e mi accingo a raggiungere la discoteca. Arrivato là mi rendo però conto di una cosa: è sufficiente lavorare la domenica per un intero anno e sei automaticamente fuori dai giri. Facce nuove, gente nuova, concorrenza nuova... il mondo gaio sembra in fibrillazione ed io non ne faccio più parte. Facendomi strada tra la gente incappo però in vecchie amicizie con cui passare la mia serata non troppo esaltante, nonostante mi fossi bevuto a stomaco vuoto mezza bottiglia di Martini prima di uscire di casa. Poi, una volta tirata chiusura (3.00), l'amara sorpresa: "Merda, ed ora come torno a casa?". Metropolitane che chiudono a mezzanotte, taxi troppo cari per le mie carte di credito, io che non ho più le palle di chiedere un passaggio a sconosciuti. "Gambe in spalla, Aspirante Carrie Bradshaw, ti tocca tornare a piedi". Attraverso Piazzale Corvetto con il timore che qualcuno mi sbuchi alle spalle reclamando le francesine nuove che indossavo o, peggio ancora, la mia pochette contenente i pochi spicci per il cibo della settimana; arrivo a Porta Vittoria con i piedi doloranti per via delle mie scarpe nuove e inizio a maledire la città e la mia sfacciataggine perduta. Poi, alle 4.00, vedo all'orizzonte un pullman e scopro che va esattamente verso casa mia. Alle 4 e 30 rientro sudato, con vesciche ai piedi e maledettamente sano.
D'accordo, un weekend come questo nemmeno nella Bella Provincia sarebbe stato possibile, ma, pensandoci bene, iniziare direttamente dall'alto sarebbe stato troppo noioso. Questo sarà ricordato come il fine settimana più basso avvenuto in città, il primo, quello che si toppa perchè bisogna ingranare ancora un pò. Di certo c'è una cosa infatti: peggio di così in futuro mai potrà andare.

giovedì 8 settembre 2011

Entrare nel mood

Ad esattamente una settimana dal mio arrivo a Milano, rendersi conto di averci messo troppo entusiasmo nell'immaginarsi la propria vita milanese non è sempre cosa facile. L'idea di una vita a base di cocktail, buone conoscenze, shopping e party sembrava infatti  ancora lontana, per chi si è appena immerso nel flusso di traffico, gente e negozi ed ha un giro gaio ancora da riprendere.
Come entrare nel pieno mood milanese? Questa era la domanda che continuavo a pormi, perchè, anche se hai una tesi da scrivere e quindi dovresti uscire di casa il meno possibile, sei comunque nella metropoli e farsi un nome è la priorità più assoluta. Provai sin dalla prima sera e per qualcuno dei pomeriggi successivi a darmi agli etero curiosi. Con una camera nelle immediate vicinanze di Corso Buenos Aires non invitare nuova gente passionale sembrava un reato, tuttavia, di fronte all'ennesimo rischio di essere scoperto dalla compagna di stanza (che sa benissimo della mia vita sessuale nomade ma non che invito espressamente individui nella stessa camera) mi resi conto che no, farsi fottere in meno di 20 minuti non era la soluzione per essere milanesi cool, ma solo perditempo.
Martedì pomeriggio mi vidi con il mio saggio cugino milanese, ormai esperto di tutte le zone più gaie della città, per un momento di spesa all'Esselunga di Porta Venezia dove Martina Colombari, in shorts e sneackers, in compagnia del suo filippino tuttofare, ci teneva compagnia tra una spesa e l'altra. "Si tratta di un supermercato molto frequentato" mi dice il cugino "è come il Borgo, non sto scherzando. Ho anche litigato con Malgioglio per una caciotta una volta". Bene, quello era sicuramente il posto dove riassortire la dispensa, utilizzare l'innovativa tecnica del lettore prezzi portatile poi mi rendeva all'avanguardia, ma ancora mancava qualcosa che mi rendesse effettivamente tale.
Arrivò poi la volta delle commissioni in giro per la città, una corsa a Piazza V Giornate (ormai sempre più simile a Times Square in versione medioevo) facendo lo slalom tra un taxi e l'altro con la tua nuova borsa in pelle di bufalo dovrebbe farti sentire parte di lei, la tua nuova anima gemella. Ma niente, nemmeno di fronte alle innumerevoli francesine esposte nei piccoli negozietti glamour di via Piave non mi è servito ad entrare nel mood.
Per non parlare della coinquilina che, ho scoperto, è proprietaria di una discoteca gay pugliese, sta progettando qualche serata gaia in zona e conosce molti più locali gai di te oltre che i nomi delle drag queen più richieste del momento. E quando ti rendi conto che lei conosce anche il chiosco gay di Porta Venezia quando io non sapevo nemmeno esistesse se non dopo che il cugino mi ha lanciato un invito a raggiungerlo per un drink, allora realizzi che in fondo tu di quella città e soprattutto di quello che accade nella comunità omosessuale non sai proprio nulla. Ma che puoi sempre rifarti.
Se, infine, il ragazzo montanaro che hai lasciato in provincia inizia a chiamarti "amore" proprio quando programmi il tuo non ritorno a casa per qualche weekend, allora capisci il motivo del tuo momentaneo spaesamento. Ma, in seguito a qualche titubanza o crisi che ti porterebbe a lasciare subito il tuo appartamento per tornare nella Bella Provincia, capisci che questo è il tuo sogno e che non esistono relazione o lacrime che possono rischiare di compromettertelo. D'altronde sono almeno stato ammesso nel corso di organizzazione di eventi in UniCatt, un buon passo per entrare nel vero mood dello studente milanese dalla vita mondana e paiettata.

venerdì 2 settembre 2011

Un nuovo inizio

Ogni anno a settembre, centinaia di ragazzi gai sulla ventina approdano a Milano con due sogni: trovare lo stile giusto e farsi un nome giusto. Io, quest'anno, ero uno di quelli.
Archiviata ormai da un paio di giorni la mia esperienza da commesso e la vita di provincia con tutti i disagi che questa aveva comportato, ero sempre più deciso a guardare verso il futuro. Avevo un appartamento piccolo ma in una zona centrale in cui poter sistemare alla meglio le mie scarpe, la benedizione delle ex colleghe Marion e Alby che mi avrebbe protetto dalle avversità e dagli etero curiosi indisciplinati, un budget limitato che mi avrebbe garantito un anno fuori casa e soprattutto tanta voglia di guardare al futuro.
La definizione più corretta era, come mi disse un lontano cugino ad un aperitivo al Mono, "arrampicatore sociale". Proprio così. Farsi un nome che mi avrebbe garantito un futuro lavorativo brillante, oltre che simile a quello della mia beniamina Carrie, era assolutamente la priorità. Ed avrei dovuto farcela a tutti i costi: anche se le vetrine dei negozi di Corso Buenos Aired mi chiamavano a gran voce, anche se mi sarebbero aspettate giornate critiche ed a digiuno (ma sbronzo), anche se il mio conto in banca in discesa libera non guardava in faccia a nessuna bell'azione e buon proposito io potessi fare pur di non farlo abbassare.
E se poi mi ritrovavo ancora con una tesi arenata la cui relatrice sembrava essere scomparsa, un esame di cinese indispensabile per il nuovo anno accademico e due università a cui inoltrare la domanda di ammissione, allora ti rendi conto di essere arrivato ad un nuovo inizio. Per non parlare del montanaro Marco, il cui rapporto si barcamenava tra alti e bassi proprio come il mio umore negli utlimi giorni di lavoro.
Se credevate di esservi liberati di me vi sbagliavate, scarsi lettori. Ho ancora un mucchio di cose di cui scrivere.