martedì 29 novembre 2011

Il Fattore C

La mia compagna Marialaura, in cerca di una valida alternativa ad una grigia domenica pomeriggio in casa, ha pensato bene di coinvolgermi in uno degli innumerevoli eventi che animano il popolo fashionista milanese.
Poichè a lei piace buttarsi a capofitto in qualsiasi esperienza riguardi la moda, è stata in grado attraverso il sito di Vogue.it di iscriversi con il sottoscritto alla Vogue Experience, una mostra di covers in onore ai 5 anni di direzione de L'Uomo Vogue da parte di Franca Sozzani. Mancare sarebbe stato un delitto.

Aggregatasi anche la mia compagna Natascia, ci rechiamo in ritardo all'appuntamento al Sotheby dove ci accolgono modelli in smocking e cordiali modelle pronte alla fatidica domanda "Siete in lista?". Porgiamo educatamente i nostri inviti, ottenuti dopo secondi di angosce quando, durante una lezione in UniCatt, Marialaura ha scoperto dal suo Iphone che erano disponibili. Superiamo l'ingresso e ci ritroviamo in una sala rotonda alle cui pareti c'era la storia del mensile di moda italiano più elitario del momento (e sul quale poche settimane prima avevo scritto una tesi): L'Uomo Vogue. Analizziamo ciascuna fotografia noncuranti della fotografa che ci immortala diverse volte, scrutiamo gli altri personaggi stilosi che si aggirano per lo spazio finchè l'occhio non mi cade là. Eccola là, in mezzo alla decina di persone spunta lei, Franca Sozzani, vera autorità in fatto di moda nonchè direttrice di Vogue Italia oltre che de L'Uomo Vogue. "Niente panico" mi ripeto, "questa è l'occasione che aspettavamo. Dobbiamo andare a parlare con Franca!". Ci facciamo strada tra le poche persone e aspettiamo educatamente che l'ennesimo fashion blogger si complimenti con lei e le chiede delucidazioni e consigli sul suo futuro da stylist, poi si gira verso di noi. Prego che non si renda conto che il mio chiodo in finta pelle salta fuori dal magazzino di Bershka e che probabilmente per lei sarei out, finchè Marialaura si fa avanti. "Mi rendo conto che in molti oggi gliel'avranno già detto ma noi siamo suoi ammiratori" "Avanti", mi dico io, "Aspirante Carrie Bradshaw, questo è il momento di dirle che tu hai scritto una tesi di antropologia su Vogue, coraggio, è la tua chance di fare bella figura, se vuoi diventare effettivamente Carrie Bradshaw". Decido allora di farmi coraggio e di prendere parte alla conversazione "Ci chiedavamo, visto che vogliamo diventare giornalisti del settore, se avesse qualche consiglio da darci al riguardo" dico timidamente, anche se dentro di me potrei morire. Inizia una lunga tiritera al termine della quale io e la mia compagna usciamo sconfitti: Vogue offre un sacco di modi per poter scrivere e collaborare con la rivista, si tratta solo di darsi da fare e tentare; perchè noi due non ne eravamo a conoscenza? Anzi, IO non ne ero a conoscenza, visto che Marialaura sembra essere già a conoscenza di alcune iniziative. Che amarezza, nemmeno riesco a seguire ciò che mi piace, devo darmi una regolata. Non può però finire così e decido di parlare con una giornalista che si aggira per la stanza in cerca di consigli. Dopo venti lunghi minuti Marialaura riesce a strappare il numero di telefono di un giornalista, io solo l'informazione che a gennaio aprirà un bando per stagisti in redazione al quale ogni anno centinaia e centinaia di Aspiranti Carrie Bradshaw tentano di prendere parte. Voglio morire. "Serve il fattore C" dice la giornalista "quello serve sempre ovviamente".
Fortunatamente mi squilla il telefono. Un tizio ventenne è sotto casa mia e vuole fare sesso. "Sono a 5 minuti a piedi da casa", mi dico, "prendo il book con le cover autografato dalla Sozzani, saluto tutte e scappo". Fanculo il fattore C, ora è il momento del fattore Sex. Usciamo così dalla mostra seguiti dal mio morale a pezzi e da un Fattore C che tarda a farsi vivo. Sarei mai riuscito a diventare un buon giornalista? Oppure sarei diventato uno dei tanti che si sarebbero scontrati con l'insuccesso perchè incapaci a trovare il loro Fattore C? Non è il momento di rispondere alle domande, un tipo di vent'anni mi aspetta. Saluto velocemente Natascia e Marialaura e sfreccio sotto casa mia; il ragazzino compare in tutta la sua eterosessualità: rasato, in scarpe da ginnastica griffate, sigaretta in bocca. Salgo in macchina e facciamo sesso. E' la mia prima volta con qualcuno più piccolo di me, ma in fondo dopo aver visto Franca Sozzani tutto è possibile, mi dico.
Alla fine però ecco la sorpresa: "Ti va di fumare una canna con me?" "Oddio dico, io non ho erba" Tranquillo, faccio io, io ne fumo almeno 5 al giorno" e tira fuori il suo pacchetto di erba. Eccolo lì,il fattore C, questa volta con C come canna. Mi sentivo come se stessi al liceo: sesso in macchina e canna post sesso. Divino.
Mi lascia sotto casa e faccio giusto in tempo a notare che dedicandomi a lui sono stato costretto a saltare il mio aperitivo con Rosa. Questo è Milano.
Alla fine della giornata, rientrando in casa, mi rendo conto che avrei avuto percorrere ancora molta strada. Di certo c'era solo una cosa: avevo bisogno del mio fattore C.

giovedì 24 novembre 2011

Centoquattro

Centoquattro da ieri sarà qualcosa di più di un semplice numero.
Centoquattro da ieri sarà il numero che quantifica il lavoro di tre anni in UniBi. Centoquattro è ciò che ieri ha mobilitato, in un'atmosfera festosa, i miei Autorevoli Genitori, mia nonna e i miei Comprensivi Zii a Milano, armati di doni e biglietti d'auguri, Lou* e Clementia facendoli arrivare in UniBi per festeggiarmi. Centoquattro ha avuto il potere di farci trovare lì, in mezzo alla folla di parenti urlanti e corone di alloro, ad abbracciarci e baciarci come non succedeva da tempo. Centoquattro è il motivo per cui ieri ho pianto all'inizio di ogni conversazione, così come ho pianto quando ho consegnato la mia Tesi ad una delle mie zie, quando mia nonna si è presentata a sorpresa in UniBi nonostante il nonno malato a casa, e anche quando ho visto Clementia venirmi incontro in Aula Magna, consapevole del fatto che quella sarebbe stata l'ultima volta che avremmo trascorso in UniBi in qualità di studenti. Specialmente alla luce delle giornate che assieme avevamo condiviso tra un appunto e l'altro.
Sicuramente però, le lacrime che ho versato ieri sono più di centoquattro. Mi sono commosso quando ho rivisto tutte le mie compagne venute a salutarmi, quando mia nonna mi accompagnava fiera per i corridoi dell'UniBi senza ben sapere in cosa mi sarei laureato, e anche quando mi sono ritrovato a percorrere con la mente i 19 esami ed i 3 anni di lezioni con le facce di molte delle vite che avevo incrociato.
Centoquattro è meno dei ricordi che mi conservo di questa esperienza. Così come è meno delle persone che ho conosciuto in questa triennale. Ma è sicuramente molto più delle volte che indosserò la camicia e la cravatta che ho acquistato per l'occasione.
Io in genere non sono per queste cose smielate. Ho sempre detto e ribadito (nonchè supplicato le mie amiche) che la proclamazione sarebbe stata una pura formalità, una semplice stretta di mano e fuga che tutti vivevano in maniera troppo assillante presi da non so quale sentimento. Una vera perdita di tempo che non faceva altro che ostacolare il rispetto delle mie scadenze in UniCatt. Invece, respirando quell'aria e vedendo come un semplice rito coinvolga così tante persone in modo spontaneo, mi sono reso conto di quanto mi sbagliassi. E di quanto, in fondo, provare l'emozione di commuoversi per aver portato a termine qualcosa che nemmeno contavi di finire sia appagante. Non è sicuramente un centodieci con tanto di lode, ma di certo questo centoquattro mi ha consentito di rivivere quel senso di soddisfazione e di calore che da tempo non sentivo (un pò come quando mi è capitato di vedere il video qui sotto). Oltre ad avermi fatto incontrare Clementia.
Grazie centoquattro.


PS: probabilmente questo video sarà già stato visto e rivisto sino alla nausea, ma l'immagine di tante persone sconosciute, che si adoperano per creare qualcosa in maniera disinteressata, con il sorriso sulle labbra, facendo qualcosa di stupido, è un vero inno alla vita.

mercoledì 16 novembre 2011

Trovare l'ispirazione

Ok, ho perso l'ispirazione.
Da giorni continuo a ripetermi questo come un mantra sperando che qualcuno tra i miei amici, conoscenti o miti (Carrie Bradshaw compresa) mi diano una risposta. Stare qui non è sempre facile. Specialmente se in una università dove la concorrenza è forte e dove tutto è ricondotto al confronto.
Ti ritrovi a condividere gli appunti con una ventitreenne già giornalista pubblicista nonchè autrice de Le Iene, esci a bere vino con un ragazzo che l'indomani ha una rassegna stampa, fai un progetto di gruppo con una pugliese che ha contatti ovunque e che è in grado di far sì che la RedBull ti fornisca dj set, divani e drink (il tutto gratis) per l'evento che vuoi organizzare. Questo è il nuovo contesto in cui devo muovermi tutti i giorni.
Non posso quindi fare a meno di chiedermi: che avevo in testa io quando ingenuo e intraprendente avevo pensato di coinquistare, per lo meno lavorativamente, Milano?
Non lo so, continuo a rispodermi.
Ed il peggio è che da ormai una settimana la risposta è sempre quella. Sento di aver perso l'ispirazione. Sono troppo impegnato in aperitivi, serate, lezioni e sesso che non riesco a trovare il mio posto, la mia prerogativa, ciò che mi contraddistingue. Ho perso la grinta. Quella motivazione che mi dovrebbe portare a scrivere subito al contatto che la relatrice, che ti ha appena scritto una mail complimentandosi per la tua tesi brillante, ti ha fornito in RadioRai. O ancora, trovare l'idea ingegnosa per la campagna pubblicitaria da realizzare e che potrebbe, se migliore rispetto a quella dei compagni, essere presentata alla Mondadori.
Eppure no, tu lasci stare, perchè quella sera devi trovare il prossimo locale in cui uscire o il prossimo etero da convertire o il prossimo capo da acquistare.
Pensavo che tutto sarebbe stato sotto controllo, invece mi rendo conto che la tentazione è alta.
Mi serve il coraggio di osare, quella spavalderia che tanto mi ha portato a raggiugere i traguardi che mi ero prefissato. Carrie, Becky e Holly stanno facendo del loro meglio per motivarmi, ma ora l'unica cosa che sono motivato a fare è decidere a che ora presentarmi all'H&M per il lancio della nuova collaborazione con Versace.

giovedì 10 novembre 2011

Supplente

Alcune domande danno inizio ad una serie di  meccanismi imprevedibili.
"Quanti te ne sei scopati dall'ultima volta che ci siamo visti?". Sono sdraiato sul divano dell'ufficio di Marco, siamo ancora vestiti, e il suo televisore al plasma sta trasmettendo Shrek. "Evitiamo queste domande" rispondo io, vagamente. Il problema è che non capisco mai quando fa sul serio; per quale motivo vuole saperlo? "E dai dimmelo" il suo viso è a due centimetri dal mio, non resisto. "Tre o quattro" rispondo diminuendo l'effettivo numero degli attivi etero curiosi/bisex che mi hanno scopato nelle ultime due settimane.
"Come mai lo chiedi?" "Così" "E tu invece?" chiedo dopo un'altra serie di baci. "A questo punto voglio saperlo anche io" "Tre, senza contare il mio trombamico". "Ah bene" rispondo io. In realtà non fa affatto bene. Tempo fa mi aveva detto che non si vedeva molto con il suo Trombamico e che la sua attività sessuale era diminuita. Che stava succedendo? "Sì" continua lui "voleva che ci vedessimo anche stasera ma ho inventato che mi dovevo vedere con uno dei miei amici etero, lui non sa che mi vedo con te. Vuole essere l'unico maschio, se sa che scopo un altro ragazzo se la prenderebbe".
Boom.
Fingo indifferenza e continuo a baciarlo, ma in realtà dentro di me crollano un mucchio di convinzioni. Che diavolo è questa storia? Non sono fidanzati, cosa interessa a quel tizio se Marco si scopa un altro ragazzo? Improvvisamente iniziai a crollare nell'incertezza. Che ci facevo lì? Ero ben a conoscenza che chi mi scopava mi teneva nascosto, ma essere arrivati al punto in cui un bisessuale nasconde all'altro bisessuale che si scopa un ragazzo gay senza che fosse il suo fidanzato mi sembrava il colmo. Mi sembrò di tornare all'epoca del Caribiniere e Natasha. Solo che questa volta il trombamico non aveva nè nome nè volto e anzichè cene con vista lago avevo nottate con vista montagne.
Trascorremmo la serata continuando a viverci il nostro rapporto, mentre in me iniziano a nascere tutta una serie di domande. "Perchè continuiamo a vederci?" chiedo "Perchè ti piaccio" mi risponde lui "Tutto qui?" "Bè se tu non mi piacevi non ci continueremmo a vedere, non credi cucciolo?". Mi sembrano lontani anni luce i momenti in cui mi baciava nel parcheggio, mi mostrava quello che faceva e mi raccontava dei suoi amici, ma quello che in questo momento conta è che siamo abbracciati sul divano, ci stiamo guardando Zeta la Formica e discutiamo del fatto che entrambi vogliamo comandare.
Alle 3 torno a casa, sono felice, ma il mio cervello non smette di fare domande. Davvero Marco si vedeva ancora con altra gente?

Giovedì sera. Dimentico di rimanere invisibile per Marco su Messenger. Mi scrive. Un saluto, i soliti convenevoli, poi tiro fuori il discorso "Devo stare attento a non fare rimanere male il tuo trombamico" scrivo io, sperando che lui capisca che no, non ci sono rimasto male perchè lui si vede con altri, ma perchè per l'ennesima volta sono stato tenuto nascosto a qualcuno. Come se fossi qualcosa di cui vergognarsi. Faccio davvero così pena? "Sei geloso?" mi chiede. Ok, non ha capito un cazzo. "Per niente, sapevo che ti vedevi ancora con lui (bugia!)" "Sì in effetti questa settimana ci siamo avvicinati molto".
Boom.
Rimango di sasso. "Sono molto felice" mento. "Grazie, sei una bella persona, solo che comandi troppo". Non capisco a che gioco sta giocando. "Io sono un supplente. Colmo le mancanze temporaneamente, in attesa che qualcuno le colmi" "Ho capito". Improvvisamente iniziai a vergognarmi di me. Potevo scegliere: o continuavo a vivere nell'ombra oppure gli scrivevo che non dovevamo più vederci. "Ho una proposta" dico "siccome è meglio che anzichè scopare o stare su Msn a rimorchiare tu ti impegni nel tuo lavoro credo sia meglio se non ci vedessimo più così spesso" "Ah, ho capito".
Avrei sperato che mi dicesse no. Di restare. Proprio come aveva fatto sabato, quando gli avevo detto le stesse cose guardandolo negli occhi, ma stavolta niente, tutto taceva.
"Spero di averti lasciato qualcosa di buono rispetto alla massa di gente mediocre che ti scopi" aggiungo sperando che mi dica qualcosa "Uff" risponde lui "ora vado a dormire. Ciao Aspirante Carrie Bradshaw!". E si disconnette. Rimango di sasso. Inizio a  piangere come non facevo da tempo. Avevo fatto la cosa migliore? Che ne era dei suggerimenti di Marion di viversela come una cosa in più? Voglio parlargli.
Gli scrivo un sms dicendogli che non è il caso di andarsene così. Non ricevo risposta.
Inizio a piangere. Per la prima volta negli ultimi mesi mi ritrovo senza Alby e Marion, le due persone che mi avevano sempre protetto le spalle consigliandomi cosa fosse meglio fare con i ragazzi che entravano nella mia vita. Ma ora sono solo, spaesato, e per la prima volta non ho i miei punti di riferimento.
Piango in doccia. E sto piangendo tuttora, nonostante siano ormai passate più di 2 ore. Sono confuso. Ma quel che è peggio è che non so spiegarmi il motivo di questa reazione.
La teoria dei supplenti, che per tutto questo tempo mi ha guidato nel mio rapporto con Marco, sembra abbia fatto cilecca.


venerdì 4 novembre 2011

Scandalo al Gattopardo

Ci sono volte nella vita in cui occorre essere irremovibili.
Non devo andare al Gattopardo, mi ripeto. Non devo andare al Gattopardo, ubriacarmi gratis, conoscere il fidanzato della mia compagna di corso, tornare a casa con sconosciuti. No, ho un parziale mercoledì. Devo desistere dalla tentazione. Assolutamente.
Suona il telefono mentre sono seduto in cucina sui miei libri di Economia Aziendale. E' Ilaria. "Aspirante Carrie Bradshaw (ndr), saremo al Gattopardo per le 23. Ci vediamo là, vero? Guarda che ci conto. Ti aspetto con ansia!". "Sì, ovvio. Mi faccio una doccia e sono lì". Oddio. Non avrei forse dovuto dire di no? Che rifiutavo e che dovevo studiare per un parziale importante? Non importa, mi dico, andrò al Gattopardo ma berrò il meno possibile in modo da tornare presto ed essere pimpante domattina.

Arrivo al Gattopardo, avvolto nel mio trench e maledicendo il fatto di non aver preso un taxi anzichè affidarmi alla metropolitana, e la fila si sta già formando. Ilaria è fuori che mi aspetta con un drink in mano offertole dal suo barista di fiducia con cui i rapporti si stanno ormai approfondendo. Non riesco a capire se in fondo, di fronte a tanta negazione, lei ne sia attratta realmente oppure se, come dice lei, è semplice opportunismo. Ma poco importa. Nemmeno il tempo di posare la giacca che lui mi chiede cosa voglio da bere. Oddio, mi dico. Berrò solo un drink. Però siccome è uno solo tanto vale che sia forte, insomma, non posso dire un analcolico, non ci crederebbe nessuno. E soprattutto Ilaria penserebbe che non voglio godermi la serata. "Un margarita alla mela verde" rispondo. E le danze iniziano.
Arriva anche la nostra compagna Marialaura, accompagnata dal suo boyfriend chirurgo tra i più conosciuti a Napoli, e tra una sigaretta e qualche passo di danza, compare il proprietario del Gattopardo. "Andiamo a salutarlo!" mi suggerisce Ilaria. "D'accordo" dico io, in fondo è sempre una buona occasione per farsi un nome. "Cosa volete da bere?" ci dice lui, dopo un breve saluto. "Oddio no davvero, non possiamo approfittarne" diciamo entrambi fingendoci innocentemente disinteressati dai drink gratuiti. "Faccio fare al barista allora" "No" dice Ilaria "allora prenderemo due Margarita alla mela verde". Detto fatto, ci ritroviamo con due calici di Margarita in mano. E' il secondo drink che prendo senza pagare, inizio a sentirmi importante.
Marialaura se ne va. Io e Ilaria non siamo più molto presenti, il suo amico barista ci prepara un altro dei nostri cocktail. Oddio. Devo rimanere in me, mi ripeto. Stavolta infatti, onde evitare nuovi passaggi da sconosciuti ho controllato l'orario dei bus. L'ultimo è alle 4e10. Non posso perderlo, altrimenti rimarrl bloccato in Corso Sempione. Finisco il mio cocktail e mi dirigo verso il bagno barcollando, se mi rinfresco un pò tornerò in me. Entro in bagno. Un ragazzo rasato in fila mi guarda e mi rivolge la parola in inglese "Are you ok?" mi chiede. "Yes, I'm fine" dico fingendomi controllato. Iniziamo a parlare ma non capisco il suo intento. D'accordo, è gay? E soprattutto: che ci fa un ragazzo di 24 anni, carino, in un ambiente in cui l'età media è di 40 anni? Mi spiega che è spagnolo, si chiama David, lavora per una nota banca ed è a Milano per lavoro fino a domani. Trascorrono 5 lunghi minuti in cui metto alla prova il mio inglese ma poi mi rendo conto che Ilaria è fuori da sola e fuggo al luogo in cui l'ho lasciata con la mia pochette. E lui mi segue.
Continuiamo a parlare mentre mi mette sotto il naso un suo drink trasparente, lo bevo. Mai rifiutare un sorso di qualcosa. E bevo.
I nostri volti si sfuorano ed il bacio è inevitabile. Iniziamo a baciarci sotto gli occhi stupiti di Ilaria, che mai avrebbe pensato di vedere un bacio gay al Gattopardo, ma quando ci sono io, in fondo, tutto è possibile. Nemmeno il tempo di pensare a lui a letto con me che il buttafuori arriva e ci intima di fermarci "Qui non si fanno certe cose, se volete qui fuori potete fare quello che volete. Qui no". Rimango di sasso. Siamo in una chiesa sconsacrata dove le trentenni si fingono ventenni, ed io non posso baciare un giovane spagnolo attivo per di più bancario? Nossignore, questo è un vero scandalo.
Mi bisbiglia nell'orecchio che il suo capo, che lo sta fissando con il resto dei suoi colleghi, non l'ha mai visto baciare un ragazzo e che sicuramente domani dovrà dare spiegazioni al gruppo. Ops, sarò considerato responsabile di una conversione.
E' quasi ora di andare e scendo per fumare una sigaretta con David e la sua collega scandalizzata per le reazioni dei buttafuori. Incappiamo in un gruppo di quarantenni; "Ma tesoro tu sei vestito molto bene! Buon gusto" mi dice uno di loro "Oh grazie" rispondo arrossendo. O mio Dio. Nemmeno a Carrie sarebbe successa una cosa del genere. "Noi ce ne stiamo andando al Flick ora, ti va di venire con noi?". Per la seconda volta in meno di mezzora rimango di sasso. E sono pure ubriaco. D'accordo, che è il Flick? "Ehm". Ok, Aspirante Carrie Bradshaw, questa è la tua occasione, non puoi non andare al Flick. D'accordo, non sai cosa sia nè di che si tratti, questi signori non li conosci, ma è un invito che non puoi rifiutare. Però il pullman parte tra 20 minuti. Cazzo. Sapevo di dover prendere il taxi. "Vado a prendere il trench e scendo". Salgo dal barista a recuperare il mio cappotto mentre lui si sta baciando Ilaria, li saluto, e scendo a cercare David. E' tempo per me di andare, ed esco dalla seconda uscita sperando che il gruppo di tizi non mi veda. "You can't go now!" mi dice lui prima di baciarmi in strada. Lì possiamo fare quello che ci pare, finalmente. Passa uno straniero che vende rose. David me ne regala una.
Potrei sprofondare come accadrebbe a qualsiasi romantico, ma sono ubriaco ed il mio pullman passa tra 10 minuti. Lo saluto con un altro bacio, e corro verso Corso Sempione.
Sfreccio sui tacchetti delle mie francesine, con il trench aperto svolazzante, la pochette e la rosa di David in mano. Alle 5 mi butto a letto.
Non mi alzerò pimpante domattina, ma almeno assieme a David avevo creato scandalo al Gattopardo.