venerdì 2 settembre 2011

Un nuovo inizio

Ogni anno a settembre, centinaia di ragazzi gai sulla ventina approdano a Milano con due sogni: trovare lo stile giusto e farsi un nome giusto. Io, quest'anno, ero uno di quelli.
Archiviata ormai da un paio di giorni la mia esperienza da commesso e la vita di provincia con tutti i disagi che questa aveva comportato, ero sempre più deciso a guardare verso il futuro. Avevo un appartamento piccolo ma in una zona centrale in cui poter sistemare alla meglio le mie scarpe, la benedizione delle ex colleghe Marion e Alby che mi avrebbe protetto dalle avversità e dagli etero curiosi indisciplinati, un budget limitato che mi avrebbe garantito un anno fuori casa e soprattutto tanta voglia di guardare al futuro.
La definizione più corretta era, come mi disse un lontano cugino ad un aperitivo al Mono, "arrampicatore sociale". Proprio così. Farsi un nome che mi avrebbe garantito un futuro lavorativo brillante, oltre che simile a quello della mia beniamina Carrie, era assolutamente la priorità. Ed avrei dovuto farcela a tutti i costi: anche se le vetrine dei negozi di Corso Buenos Aired mi chiamavano a gran voce, anche se mi sarebbero aspettate giornate critiche ed a digiuno (ma sbronzo), anche se il mio conto in banca in discesa libera non guardava in faccia a nessuna bell'azione e buon proposito io potessi fare pur di non farlo abbassare.
E se poi mi ritrovavo ancora con una tesi arenata la cui relatrice sembrava essere scomparsa, un esame di cinese indispensabile per il nuovo anno accademico e due università a cui inoltrare la domanda di ammissione, allora ti rendi conto di essere arrivato ad un nuovo inizio. Per non parlare del montanaro Marco, il cui rapporto si barcamenava tra alti e bassi proprio come il mio umore negli utlimi giorni di lavoro.
Se credevate di esservi liberati di me vi sbagliavate, scarsi lettori. Ho ancora un mucchio di cose di cui scrivere.

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