domenica 4 marzo 2012

Passerella, omologazione, Blackberry

Quando la Settima della Moda sbarca a Milano il popolo fashionista apre gli occhi, esce dal letargo ed inizia a farsi un giro per la città.
Lo sapevo bene io che, spolverate le mie francesine nuove di ogni tipo e colore, ormai non perdevo occasione per rendere ogni sera a Milano una vera avventura glamour. Se ormai avevo fissato a martedì il giorno di aperitivo al Bobino con Giulio, avevo comunque una serie di inviti a feste presentate come esclusive e a sfilate più o meno note, ma soprattutto avevo in programma festeggiamenti al Plastic che mi avrebbero consentito di andare in avanscoperta e cercare informazioni con cui arricchire i miei racconti a Giulio, che ormai mi considerava un abituale del luogo.
Al terzo giorno di Fashion Week però non potevo ritenermi soddisfatto delle mie conquiste: nonostante mi fossi diligentemente segnato il calendario delle sfilate divise per giorno ed ora, non avevo ancora preso parte ad una. Dovevo darmi una mossa, assolutamente. 
Arrivò in mio aiuto Santa Maura, mia collega nell'ufficio dove lavoravo, che grazie a conoscenze varie con giornaliste più o meno importanti, mi garantì un pomeriggio di Fashion Week alla sfilata di Costume National.
Il tempo di chiedere il permesso alla mia professoressa/responsabile, e già mi trovavo al Castello Cairoli dietro alle quinte della sfilata. Parrucchieri, truccatori, vip, volti noti, addetti ai lavori... ovunque si respirava aria di fama. Presi posto vicino alla passerella ed iniziai a cercare il mio idolo: la giornalista Silvia Paoli. Arrivarono Emma Marrone, Jo Squillo e tante altre piccole celebrita, ma di lei (che, tra l'altro non ci rendeva il lavoro per nulla facile dato il suo aspetto fisico completamente anonimo) nessuna traccia. Vedendo passare ragazzini più o meno ben vestiti, donne degli alti strati sociali e giornalisti vari, mi resi conto di una cosa: non sempre la griffe dà il tocco in più a chi la indossa. E' lo stile che fa la differenza. Mi strinsi perciò nel mio blazer, annodai le mie francesine borchiate, strinsi la mia clutch e ammirai la sfilata. Andammo poi dietro le quinte a sorseggiare champagne, salutare persone non meglio conosciute per poi correre in ufficio e terminare l'articolo sulla nascita della dieta mediterranea.
Santa Maura aveva realizzato uno dei miei desideri: assistere ad una sfilata. Ma non solo: venni letteralmente invaso da inviti: Bottega Veneta l'indomani mattina alle 9e30, Malìparmi alle 12e30, uno stilista emergente il lunedì alle 17... Insomma, era proprio vero: una volta immerso nel mondo glamour, uscirne è davvero impossibile.

Alle 19 dello stesso giorno, iniziai a prepararmi per la serata delle serate. Quella della resa dei conti, che stavo pianificando sin dall'arrivo a Milano: quella al Plastic. Se da una parte avevo bisogno di informazioni che rendessero più credibile la mia vita immaginaria a Guido, dall'altra avevo bisogno di sfoggiare i miei leggings Versace, maglietta paiettata, accessori stravaganti tutti presi per l'occasione. A tale proposito ci pensarono Vanish e Chicca a salire a Milano per darmi una mano, il tempo di sistemarci e corremmo a Lelephant per un drink veloce. Arrivammo al Plastic e la coda si era già formata. L'aria di fama e glamour che avevo respirato sin dalla sfilata non accennava a sparire. Riuscimmo ad entrare fortunatamente solo dopo 5 minuti ed una volta posati i cappotti, mi resi conto di quanto quel posto fosse curioso. Musica ricercata, ambiente piccolo ed esclusivo, clientela varia... Bevevo il mio drink chiedendomi cosa potesse avere di speciale quel posto: perchè Giulio e molti altri etero che scopavano Nicole erano attratti così tanto da quell'ambiente assolutamente alternativo? Mi resi conto che andarci poteva rappresentare uno status symbol, proprio come me, che avevo messo "entrare al Plastic" nella lista delle cose da fare per essere un milanese cool, anche gli altri speravano di sentirsi a loro modo parte di una cerchia ristretta di persone: quelle che si distinguevano dalla massa informe. Bevvi parecchio alcool, conobbi gente, guadagnai l'invito per una presentazione di una linea di vestiti per il lunedì.. mi sentivo un vero milanese, ma poi, quando si trattò di entrare nel privè per cercare Chicca, scomparsa improvvisamente con un ragazzo pelato, fui costretto ad affrontare l'ennesima umiliante selezione. Un ragazzo in kilt, dietro ad una porta, spiava dall'oblò la gente in fila e diceva al buttafuori quale fare entrare. Ad un certo punto iniziai davvero a chiedermi: perchè tutto questo? Per quale motivo ridicolizzarsi ed aspettare che un tizio sconosciuto mi indichi e mi dica "tu puoi entrare"? Non sarebbe dovuto essere il posto dove tutti erano liberi di essere chi volevano? Il buttafuori mi aprì la porta ed interruppe le mie domande. Ero dentro il privè del Plastic. Mi resi conto che era esattamente come il resto del locale: inutile, sopravvalutato, omologato. Le persone che erano dentro a ballare in modo sfegatato e che credevano di distinguersi dalla massa informe in realtà si stavano uniformando ad un nuovo stile: quello alternativo, con sue regole rigide, sue esigenze, sue leggi. A che scopo tutto questo?
A fine serata Vanessa e Chicca preferirono fermarsi a parlare con tre ragazzi offensivi ed io, saturo di ipocrisia alternativa, tornai a casa soddisfatto della serata. Ero a Milano, avevo visto le sue principali attrattive glamour e potevo ritenermi soddisfatto di me. Stavo raggiungendo gli obiettivi prefissati.
Arrivato a casa mi accorsi di aver perduto il cellulare. Volevo morire. Il giorno dopo compari un Blackberry. Ora ero davvero un milanese figo, fashionista, omologato.

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