domenica 17 luglio 2011

Una clientela "interculturale"

Lavorando nell'enorme Discount di Scarpe in periodo di saldi, si può venire a conoscenza di molti aspetti del comportamento umano. Ovviamente dei lati più peggiori.
Il Discount di Scarpe in cui lavoro non ha nulla a che vedere con paiettes e lustrini à là Carrie Bradshaw: è grande, strabordante di scarpe dal gusto discutibile ed esclusivamente Made in China, prezzi bassissimi e fortemente concorrenziali, ambienti ormai obsoleti. E' quindi comprensibile che eserciti un enorme fascino sugli stranieri. Orde di famiglie, gruppi e coppie avvolti da turbanti e odori speziati, pronti a spendere il loro misero stipendio con l'unico obiettivo di tentare di costruirsi una vita normale in un paese che ad accoglierli ha ancora qualche difficioltà.
La mia professoressa di Pedagogia Interculturale troverebbe nel mio Discount un ottimo campo per le sue ricerche sui (poveri) immigrati alle prese con una realtà che ancora fatica ad accettarli, che non li aiuta ad inserirsi e che spesso, ahimè, li relega ai piani bassi della società. Ma è davvero così?
Queste persone, armate di speranze e fede verso il nostro paese, hanno anche un carattere particolarmente scontroso che spesso mette a dura prova la pazienza e la disponibilità di noi commessi (ma voi direte: non succede forse ovunque?). I nostri clienti multietnici, così umili e spaesati, non hanno il minimo senso di ordine: provano scarpe nel bel mezzo delle corsie, le lasciano a terra, se le trascinano per tutto il negozio e poi, accidentalmente, le dimenticano in giro. Hanno la straordinaria tendenza a non seguire i propri figli che, a loro volta, non perdono tempo e, tra una corsa e l'altra per la corsie del negozio, spostano le scatole, le aprono, ci giocano  e così via. Il tutto sotto lo sguardo indifferente dei genitori che, nemmeno dopo averci visto riprenderli, evitano qualsiasi tipo di rimprovero o osservazione nei loro confronti.
E' quindi chiaro che si tratta di clienti amorevoli, che in fondo hanno bisogno del loro momento di shopping, e come ogni acquisto che si rispetti è giusto che si esiga il meglio. La qualità è caratteristica imprescindibile quindi. Guai a vendere un paio di scarpe o portafogli (sottolineo "Made in China" e dal valore di una ventina di euro per quelli più cari) che non siano di vera pelle o che presentino il minimo difetto. Impensabile. Perchè poco importa se girano in ciabatte, vestiti macchiati, con gelati gocciolanti alla mano e con odori insopportabili: loro esigono che tutto sia perfetto. Poi, non conta se il pavimento è completamente oscurato dalle impronte delle merende dei loro figli, ciò che importa è che, mentre un commesso pulisce, non spolveri vicino al proprio figlio (cosa che viene fatta riprendere dal genitore non con parole vere e proprie e cordialità, ma con borbotti e grugniti). Insomma, non pare abbiano problemi a farsi rispettare, questi nostri ospiti.
Interessante è poi notare come la loro umiltà non li abbandoni nemmeno per un momento. Non appena viene detto loro, di fronte a 7 o 8 paia di scarpe, che è loro compito anche sistemarle (e non lasciarle bellamente sparse a terra, come se fossero pattume) con modi un pò troppo concitati, questi rispondono che non sono "i magazzinieri", loro provano e noi commessi siamo pagati per sistemare, altrimenti parlano col "capo". Insomma, come se i veri fannulloni fossimo noi addetti alla vendita, rei di voler scaricare su di loro, vittime innocenti, compiti esclusivamente nostri. Pena: il licenziamento.
Insomma, davvero un quadretto patetico, a cui io e i miei colleghi (ma sicuramente anche tanti altri lavoratori) siamo costretti ad assistere ogni sacrosanta domenica.

Ci tengo a dire che non sono razzista, odio le generalizzazioni e sicuramente questi atteggiamenti appartengono alla stessa misura anche a noi italiani. Mi sono concentrato su questa tipologia di clienti però, poichè, non appena si accenna al tema "immigrazione", ricondurre la conversazione al classico "razzismo", è ormai inevitabile. In realtà, così come è opportuno che noi italiani ci apriamo ad accogliere il diverso, è altrettanto giusto che questi "nuovi vicini", così buoni e umili, evitino di commentare, indicare e deridere un ragazzo gay che, in abiti gai, non fa altro che svolgere il proprio lavoro. Se proprio bisogna iniziare ad essere interculturali, tanto vale che lo siano tutti.


PS: vi chiederete: perchè sopporti tutto questo? Semplice: si tratta di denaro in più per la mia vita metropolitana. Un occhio, dunque, si può anche chiudere (almeno per un altro pò).

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