sabato 12 giugno 2010

Milano sì, Milano no

Con un orale che si è rivelato sostanzialmente inutile, un caldo sempre più opprimente ed un nuovo esame da preparare, i miei giorni trascorrevano monotoni e tranquilli nella Ridente Cittadina.
Fu così che un sabato mattina, decisi di accompagnare la mia Autorevole Madre e la mia Disponibilissima Zia a Milano, per mostrare loro l'appartamento di un loro famigliare che aveva avuto la fortuna (ed il denaro) sufficiente per poter vivere nella metropoli facendo il giornalista. Se poi a tutto questo aggiungevamo il fatto che il cugino Mauro avesse pure un fidanzato, allora mi resi conto che qualcosa di buono da quella gita ci potevo guadagnare; d'altronde, pensai, una volta che si è a Milano qualsiasi cosa si faccia è puramente accessorio.
Prendemmo il treno alla bellezza delle 7e52 (orario a me sconosciuto persino per andare in Università) ed un'ora dopo mi trovavo con Mauro a passeggiare per piazza Duomo ad ascoltare gli aspetti più interessanti della vita di un giornalista, che però vennero delusi non appena venni a sapere che si occupava di Politica. E questo non era certamente l'argomento su cui ero più afferrato.
Poco dopo invece passammo alle piccole perle da Milanese Esperto: locali più interessanti, rassegne cinematografiche dedicate a film omosessuali, discoteche più gaie e, dulcis in fundo, mi invitò al Pride, che guarda caso, si teneva quello stesso pomeriggio alle 4 del pomeriggio. Fortunatamente in quelle ore avrei avuto un incontro con Clementia e riuscì a bidonare elegantemente l'invito.
Poco più tardi, scambiati inviti per future feste ed i reciproci contatti Facebook, approfittai della compagnia di Clementia per discutere sulla vita a Milano: a quanto pare era sufficiente un appartamento ad affitto bloccato, un lavoro dignitoso che consentisse di arrivare a fine mese ed una cerchia di amici per poter sopravvivere nella metropoli lombarda. Ma era davvero sufficiente tutto questo? Oppure i vestiti glamour, i locali alla moda e la possibilità di una vita da Carrie (oltre che da giornalista) prescindevano dalla città in cui si viveva? E se davvero era così: stavo aspirando invano a qualcosa di utopico?
Mi guardai attorno: i milanesi non avevano niente di speciale, in fondo. Vestivano in alcuni casi eccentricamente, in altri sconclusionatamente, sembravano cinici, eternamente stressati, ben lontani dagli ideali che Aspirante Carrie Bradshaw aveva accuratamente coltivato. Eppure, sebbene anche Clementia si stesse applicando per elencare tutti gli aspetti negativi del trascorrere la propria vita a Milano, niente mi stava facendo cambiare idea. Probabilmente non sarei mai stato un milanese doc, che frequentava locali cool ed aveva compagnie glamour come Carrie Bradsdshaw, ma di certo valeva la pena tentare.
A Milano, la mia New York personale, prima o poi ci sarei andato. E quello sarebbe stato il momento in cui Aspirante Carrie Bradshaw avrebbe potuto dare il suo vero giudizio a tutto quello che da sempre aveva sognato. Lavoro da giornalista escluso, ovviamente.

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